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    GABRIELLA BENEDINI

    Arpa marina, 1998
    Scultura polimaterica, cm 240 x 125 x 90
    Collezione Bennicelli Ferretti

    "Quali note – arcane, impercettibili, inafferrabili da orecchie umane – risuonano dalle grandi 'Arpe' […] ? Forse si tratta non di suoni ma di ultrasuoni emanati non da forme materiali [...] ma da forme immateriali che l’artista ha pensato, ideato, e poi misteriosamente ricavato da assemblaggi di materiali trovati, manipolati e piegati ai suoi reconditi fini", scrive Gillo Dorfles nel 1992.
    Il viaggio, il tempo e lo spazio, la musica, la misurazione e poi le costellazioni e il mito sono i temi di Gabriella Benedini, che spesso si intrecciano in continui rimandi. Questa grande arpa del 1998, costituita dallo scafo di una barca, si trasforma in strumento musicale, e, forse, intende ricordare la musica ammaliatrice del canto delle sirene a noi, novelli Ulisse, nella vita…

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    RACHELE BIANCHI

    Donna con i suoi sogni, 2001
    Bronzo, cm h 45 x 30 x 61
    Collezione Archivio Rachele Bianchi

    Rachele Bianchi realizza questa composizione in bronzo al principio del nuovo millennio. Il personaggio al centro può essere identificato come un autentico “autoritratto spirituale” dell’artista che si colloca tra due fantasmi, altre volte identificati come sogni. Attraverso il gioco realizzato dagli intrecci delle mani Rachele si fa guidare e sostenere da questi due spiriti, che paiono esserle familiari, i quali agiscono sulla statuarietà del corpo centrale con funzione cinetica.
    Interessante la scelta della trama delle figure, creata attraverso linee geometriche arrotondate che riprendono il concetto di “rete”, simbolo della poetica dell’artista già dal principio degli anni '60. Rachele, giunta all’età di 75 anni, dopo cinquant’anni di sperimentazione artistica, sia autorappresenta così. L’espressione, quasi unica nella sua produzione fatta di sguardi ieratici e lineamenti impassibili, lascia qui spazio a gioia e appagamento, all’interno di un trittico che ci fa riflettere per la prima volta sulla ricerca di un “oltre”.

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    ANGELO BOZZOLA

    Funzione di forma concreta, 1956
    Olio su tela, cm 79,5 x 64,7
    Proprietà Fondazione Angelo Bozzola
    Foto Giorgia Bozzola 

    “Il mio Modulo trapezio-ovoidale è infinito. In esso risiedono possibilità iterattive e creative pressoché infinite” afferma Angelo Bozzola.
    E’ stato un artista poliedrico, grande sperimentatore di tecniche e materiali innovativi con un approccio al mondo dell’arte sempre analitico e processuale, anticipatore di tante problematiche estetiche come la contaminazione dei linguaggi e il concetto di fruibilità dell’opera.
    Dai primi anni '50, la sua ricerca della forma ha dato un contributo decisivo al rinnovamento del linguaggio artistico nel clima della ricostruzione. Una ricerca sistematica, iniziata insieme al movimento concretista, quando Bozzola, volgendo il suo sguardo alle forme geometriche generate dalla natura, approda a una forma concreta personale, la Monoforma trapezio-ovoidale, poi perseguita dall’artista in modo autonomo, declinando questo elemento modulare migliaia di volte in infinite combinazioni di colori, ritmi e materiali sempre diversi, quale specchio della mobilità e mutabilità del regno animale e vegetale. Da questo momento, la ricerca di Angelo Bozzola ruoterà interamente intorno a questa forma concreta, producendo composizioni pittoriche e scultoree caratterizzate da elementi modulari che si duplicano e si concatenano secondo schemi logico-matematici ben precisi, con risultati di grande eleganza ed equilibrio compositivo.

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    GIANNI DOVA

    Anabasis 2, 1954
    Olio e smalti emulsionati su tela, cm 100 x 80
    Collezione privata

    Anabasis 2 è una delle opere più celebri, significative ed esemplari che Gianni Dova realizza in quello che è noto come il suo “periodo nucleare”. Dopo aver sottoscritto i Manifesti dello Spazialismo, proposti e redatti da Lucio Fontana di ritorno dall’Argentina alla fine della seconda guerra mondiale, Dova mette a punto un linguaggio informale assolutamente unico e innovativo, sperimentando nuovi materiali e nuove tecniche. Il pittore crea le sue opere lavorando essenzialmente sulla gestualità, quasi “rovesciando” i colori sulla tela e lasciandoli espandere autonomamente, così da formare le sue famose “macchie” che evocano atomi, organismi unicellulari oppure intere galassie, in una prospettiva che, dal piccolissimo al grandissimo, comprende il Tutto, visibile e invisibile.

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    VITTORIO MAZZUCCONI

    Chi sono?, 1999
    Acrilico su carta incollata su forex, cm 108 x 150
    Fondazione Vittorio Mazzucconi

    A dir il vero, ogni suo quadro potrebbe essere un autoritratto, non quello però dell'uomo ordinario di cui non c'è infatti alcun riferimento fisico, ma quello dell'uomo universale, archetipico e profondo.  La sua anima giunge nel mondo come un angelo, di cui si vede però un'ala sola. L'altra si trasforma in una vela, utile se si vuol procedere nella vita. Al di sotto si vede un braccio, turgido della forza generativa che viene trasmessa dal profondo degli evi e che, unendosi al braccio dell'uomo di oggi, realizza un'opera che ha la forma di una spirale, fatta di terra e di fuoco. Un' immagine della nostra vita come di quella delle galassie: per chi medita è una vera pietra filosofale, con cui si apre la via della saggezza. Quanto al protagonista del quadro, egli non ha un volto e sembra chiederci: “Chi sono?”

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    OTTAVIO MISSONI

    Arazzo, 1988
    Patchwork di tessuti in maglia, cm 82 x 79
    Esposto alla mostra L'emozione della Materia al Museo d'Arti e Mestieri di Zagabria (1988).

    "Il 'colore' e la 'materia' sono gli elementi essenziali del mio mestiere.
    A me piace paragonare il colore alla musica, sette note ma infinite melodie sono state composte con quelle sette note. Quanti colori di base ci sono? Non ricordo, forse sette come le note musicali, ma ogni colore quanti toni? Infiniti, come infiniti i cromatismi che compongono da sempre un’opera d’arte. Ecco “armonia” è un termine che va bene per la musica ma anche per il colore. E gli arazzi? Nascono di conseguenza al mio lavoro, al piacere di giocare con questi pezzetti di tessuti di maglia multicolorati, ed ogni pezzetto va osservato attentamente in quanto ha una sua storia e presi singolarmente hanno una loro vita."
    L’ emozione della materia
    Estratto dal testo di Ottavio Missoni, 2006

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    ENRICO PRAMPOLINI

    Bozzetto per L’Industria per il mosaico Le Corporazioni, 1941
    Cartoncino, grafite, tempera, mm 120 x 169
    CRDAV, PRA S9 f 144 n. 18

    È il bozzetto dell’Industria, una delle figure del grande mosaico policromo «Le Corporazioni», ideato e progettato da Enrico Prampolini all’esterno del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari. L’edificio, progettato dagli architetti Massimo Castellazzi, Pietro Morresi e Annibale Vitellozzi si affacciava sulla Piazza Imperiale (oggi Piazza Guglielmo Marconi), nucleo centrale dell’Esposizione Universale di Roma del 1942. Nel mosaico quattro figure antropomorfe rappresentano le categorie principali del lavoro: in alto il Credito e il Commercio e nella parte inferiore l’Agricoltura e l’Industria, simboli degli ‘eroi della produttività’. All’ambito ‘terreno’ appartiene l’immagine dell’Industria, una sorta di automa che indossa sul viso una maschera di protezione e impugna una ruota dentata che apparenta la figura di un operaio al lavoro nell’industria pesante ad un soldato in guerra.

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    RAM

    Composizione metafisica, 1936-1938
    Olio su tavola, cm 50 x 60
    Collezione Frascione Arte, Firenze

    Composizione metafisica appartiene al periodo immediatamente successivo alla personale parigina presentata da de Chirico presso la Galleria Le Niveau nel novembre 1936 e indica una fase di svolgimento rispetto alle atmosfere cristalline e di luce zenitale dei quadri precedenti. Vi si vede una giovane etiope vestita di abiti occidentali, ma dall'acconciatura tribale, posta in misterioso colloquio con una natura silente di cocomero spaccato mentre un pesante tendaggio si apre su un cielo percorso da nuvole e bagliori perlacei. Se l'inserzione esotica della giovinetta di spirito gauguiniano rimanda al viaggio compiuto da RAM in Tripolitania nel 1934, molti elementi richiamano al de Chirico fiorentino e romantico dei primi anni '20 - quello di Cocomeri e corazze– denotando una ripresa di attenzione per le atmosfere complesse della pittura antica.

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    ANTONIO SCACCABAROZZI

    Sèrifos, 2002
    Due fogli di polietilene saldati in alto, in lunghezza, cm 87,5 X 63

    L’opera appartiene al ciclo Polietileni eseguiti dalla fine degli anni ’90 fino al 2004.
    Il materiale con cui era costruita l’opera veniva comprato sul luogo indicato dal titolo, in questo caso l’isola di Serifos nelle Cicladi, Grecia. Si trattava di sacchetti di plastica che venivano venduti ai supermercati o negozietti. L’artista sceglieva un colore che per lui potesse soddisfare una sua emozione relativa a quel luogo, a quel momento, a quel soggiorno, quindi non era mai casuale.
    La forma che decideva di dare all’opera era stata ispirata dalle ombre disegnate dalla teoria delle colonne dei templi greci, dai sorprendenti e inaspettati disegni con tagli netti, geometrici che l’artista aveva avuto l’occasione di osservare ad Atene.
    L’opera è costruita da due fogli di polietilene, sagomati e uniti in alto in orizzontale da una saldatura a caldo. E’ previsto un filo di nylon che passa tra i due fogli e che finisce a due asole che trattengono i due chiodi laterali, per essere appesa sul muro o su un supporto rigido. L’artista ci ha lasciato indicazioni precise per l’allestimento.

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    THAYAHT

    Madrenatura (Divinità), 1929
    Tempera su masonite, cm 25,5 x 25,5
    Collezione privata c/o Archivio Thayaht & RAM, Firenze

    L'opera traduce in pittura l'idea della sintesi plastica messa a punto dall'artista anche in importanti sculture del periodo come Dux, originariamente intesa, prima di diventare effigie ideale di Mussolini per la complicità di Marinetti, come immagine emblematica delle "linee tipiche che caratterizzano plasticamente l'Homo sapiens" quale "simbolo matematico fuori dei tempi". Allo stesso modo la tradizionale iconografia sacra si trasforma in architettura dinamica, mentre le linee di forza e di compenetrazione spaziale, tema centrale del futurismo cui Thayaht aderisce nel 1929,  le donano un significato ulteriore di spiritualità aerea e cosmica.

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    ARTURO VERMI

    Diario, 1961
    Tecnica mista su tela, cm 100 x 80
    courtesy di Leogalleries
    foto Laura Macchi

    I Diari sono una delle serie più note tra quelle realizzate da Vermi e uno dei vertici della sua produzione. Pagine composte da nitide linee: una scrittura composta da aste disposte una di seguito all’altra, su più file. Un segno ripetuto ma sempre diverso così come sono diverse le parole; un pensiero dopo l’altro, come una lettera, un racconto, una poesia. Non un alfabeto convenzionale ma un linguaggio universale che non necessita di traduzioni linguistiche né di dotte decodificazioni. Un reiterare di linee di diverso spessore, di diversa lunghezza, di diverse tensioni, aste sottili e timide, dense o aggressive che raccontano e si raccontano, scandendo il tempo e misurando lo spazio. Pagine scritte senza la dittatura della parola. In ogni Diario le aste acquisiscono significati unici e speciali, al contempo privati e universali, rendendo così unico e speciale, privato e universale il racconto di ciascuna opera. 

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    FRANCO VIMERCATI

    Senza titolo (Zuppiera), 1991
    fotografia b/n, cm 21.9x17.2
    Courtesy: Archivio Franco Vimercati, Milano e Galleria Raffaella Cortese, Milano

    E’ stato un artista concettuale che ha usato come medium la fotografia. Voleva essere considerato un artista e non un fotografo e come ogni artista che si rispetti, anche la sapienza e gli strumenti che egli utilizza sono importanti per l’esito del suo lavoro fin dagli inizi negli anni ’70.
    Vi è una sua frase del 1991 che esemplifica perfettamente il suo lavoro “…. Il vero contenuto del mio lavoro è la ripetizione ostinata, cattiva o assente, malinconica o violenta, ma solo e sempre ripetizione”, una frase come se parlasse di sé, del suo modo di essere e di vivere più che del suo lavoro.
    I soggetti fotografati da Vimercati sono perlopiù semplici oggetti casalinghi: una brocca, un bicchiere, una bottiglia, i listelli del pavimento di casa, una sveglia, o la nota “zuppiera” – che l’artista ha fotografato per quasi dieci anni - venivano dunque a perdere il loro significato nello stesso tempo in cui il loro carattere seriale ne accentuava il valore intrinseco specifico del processo fotografico.

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    ALBERTO ZILOCCHI

    Rilievo, 1977
    Estroflessioni e acrilico su tavola, cm 50 x 37
    Disponibilità dell’Archivio Alberto Zilocchi, Milano

    I Rilievi sono  opere caratterizzate da estroflessioni sulla loro superficie, inclinate di 30 o 60 gradi, tutte di un rigoroso ed esclusivo colore bianco acrilico opaco non riflettente , su supporti lignei molto spesso quadrati come opere singole, oppure concepiti in serie, dando vita a una rappresentazione tridimensionale dello spazio – superando la bidimensionalità dei quadri –, spazio formato da linee geometriche estroflesse di pochi millimetri  che formano sulla superficie del piano liriche e morbide sfumature di luci e ombre.

    AitArt

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    info@aitart.it

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