GIUSEPPE AJMONE

    Autoritratto, 1940
    Olio su tela, cm 75 x 50
    Collezione privata

    Dipinto a Novara a 17 anni, prima ancora di iscriversi all’Accademia di Brera.
    È stato scritto che “il pittore è prima di tutto colui che sa guardare più degli altri, con maggiore intensità, con maggiore partecipazione” e in questa tela il giovanissimo Ajmone sembra dare fondamento al giudizio facendo convergere la nostra attenzione sul suo sguardo e inducendoci a considerare gli oggetti della composizione.  La figura umana inserita in un contesto quotidiano.
    La finestra, una sorta di correlativo oggettivo ricorrente nella sua pittura, che si apre su uno spaccato di vita. Un abbozzo di natura morta. E poi l’organizzazione dello spazio, la tavolozza di colori, la luce e lo sfumato che tanta parte avranno nella produzione successiva.
    Quanto Braque e Cézanne aveva già osservato e di quanti altri maestri aveva già interiorizzato la lezione?

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    ATTILIO ALFIERI

    Autoritratto - Entro la gabbia dell’inconscio, 1933
    Olio su tela, cm 70 x 50
    Collezione privata, Milano

    Di quest’opera del 1933, anno fecondo di invenzioni e anticipazioni formali, Alfieri scrisse: “Oggetto complementare, per identità, di altri oggetti-colori, spesso in dissidio dentro l’inestricabile sviluppo dei materiali inconsci, come un urlo simile a Il grido di Munch …, sia pure diversa al riscontro munchiano. Un’opera strutturata in tutt’altro ordito, quasi concepita al 'taglio di spatola', consistente nella riduzione euritmica del vortice delle spirali in sintonia con il mio stato d’animo, nella quale viene evidenziandosi una testa deforme di figura ameboide: maschera panica esaltante una condizione psicologica, quasi un ritratto nell'autoritratto. Un'opera eseguita poco dopo la scomparsa di mia madre, sebbene non mi sentissi entro i suoi spasmi di morte per dipingerne la maschera panica; semmai ero io un 'panico', pur non avvertendone l'angoscia occultata per oltre quarant’anni, attraverso la lenta rimozione disvelata nel titolo”.

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    CESARE ANDREONI

     Autoritratto al cavalletto, (1933-1935)
    Olio su tela, cm 50 x 40
    Collezione privata
    fotografia Giancarlo Costa

    L’artista si ritrae davanti al cavalletto e con tavolozza e pennelli in mano, dichiarando così la sua scelta -poco apprezzata in famiglia- di “essere pittore”. Nel 1928 affitta uno studio in via Solferino 11, un locale in soffitta, accanto a studi-abitazioni di altri artisti aperti sui terrazzini che si affacciano sul cortile. Probabilmente è qui che Marinetti, come scrive Raffaele Carrieri nel 1930, "visita il suo nuovo moschettiere. […] Sfoglia cartelle, disegni, tempere. E’ contento. Stringe tre volte la mano d’Andreoni e l’invita al primo raduno dei futuristi alla Galleria Pesaro. In pochi mesi Cesare Andreoni ha dipinto venti opere. All’inaugurazione della mostra il successo è veramente sorprendente."

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    REMO BIANCO

    Autoritratto, 1951
    Olio su tavola, cm 40 x 32
    Fondazione Remo Bianco, Milano
    N. Archivio FRB1653

    L’Autoritratto del 1951 è il primo dei pochi esempi di autoritratti di Remo Bianco di cui si è a conoscenza. Appartiene alla sua produzione giovanile figurativa, che dai primi lavori accademici del 1939, si sviluppa fino ai primi anni ‘50. Come gli oli di questo periodo, l’Autoritratto risente degli influssi postimpressionisti e delle suggestioni del maestro de Pisis. La figura è delineata da pesanti linee ed è caratterizzata da una materia densa dalle tonalità cupe e grevi del blu e del viola, che rimandano a quel sapore malinconico tipico dei dipinti di George Rouault. L’opera viene esposta nel 1952 alla mostra Autoritratti di artisti contemporanei della Galleria del Naviglio, accanto alle opere dei grandi maestri del ‘900, inaugurando il lungo sodalizio con le gallerie di Carlo Cardazzo.

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    EUGENIO CARMI

    Autoritratto al cavalletto, 1949
    Olio su tela, cm 55x45
    Proprietà Francesca Carmi

    L'Autoritratto al cavalletto è tra i più riusciti. Lo spazio è definito geometricamente dalle porzioni del cavalletto in primo piano, la stanza è descritta da un quadro non finito appeso alla parete, l'insieme ci restituisce una scena di vita.
    Noi non vediamo che cosa l'artista sta dipingendo sulla tela però lo sguardo ci spiega che cosa succede e ci introduce nell'opera.
    Carmi si dipinge con realismo trasfigurato. La ricchezza del colore, la triangolazione del volto, la dimensione eccessiva degli occhi e persino la stempiatura dei capelli, nonostante la giovane età, ci fanno conoscere in maniera introspettiva l'artista.
    Vale la pena soffermarsi sulla qualità della pittura realizzata con ricche pennellate ad olio su una tela grezza riciclata da una tappezzeria usata: questi materiali poveri esaltano l'idea dell'uomo che Carmi ha. 

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    BRUNO CASSINARI

    Autoritratto, 1956
    Olio su tela, cm 47 x 34
    Collezione privata, Milano

    Quattro sono gli autoritratti a olio di Bruno Cassinari: uno giovanile prima che tutto abbia inizio, del 1931; due più tardi, del 1954 e del 1956; infine un incompiuto dell’ultimo anno di vita.
    Il primo è tra i lavori di matrice novecentista: in esso l’artista ha uno sguardo aperto che incontra lo spettatore, ma nulla parla ancora della sua arte. L’ultimo è amaro e come conclusivo, con gli occhi che cercano. Nei due intermedi, specie in quello del 1956, Cassinari ha invece le palpebre calate, non guarda ma si lascia guardare, e la tavolozza esibita dice la sopraggiunta dignità di pittore.
    La quadrettatura cromatica e le pennellate pastose sono la sua cifra stilistica in quegli anni, quando la critica lo celebra, e lui, inquieto e operoso, guarda a Parigi e non si fa sedurre da New York.

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    GIUSEPPE CHIARI

    Autoritratto, anni 2000
    Tecnica mista su xerocopia, cm 42 x 30
    Collezione privata eredi Chiari

    Per me l'autoritratto che qui si presenta suscita soprattutto il ricordo di quanto mio padre frequentasse alcune copisterie di quartiere, a Firenze, per realizzare in xerocopia i suoi fogli volanti con scritte, qualche micro edizione, e talvolta qualche piccola opera come questo autoritratto. Fogli ed edizioni che spesso poi inviava alla sua agenda di contatti, per aggiornare su le sue ultime idee, o per partecipare a qualche iniziativa.
    Non so bene quale significato mio padre assegnasse in particolare a questi autoritratti. Ritrovo nella semplice idea di fotocopiare la foto della propria carta d'identità, forse - come talvolta faceva - fotocopia di fotocopia ingrandita, alcuni tratti del suo operare, quello che direi concettuale, di realizzare un esempio minimale della nozione, in questo caso l'autoritratto in qualche modo più ovvio e quotidiano, e quello giocoso, di bambino che gioca con la macchina fotocopiatrice, un poco a caso. Ma francamente non so se mio padre si ritroverebbe in queste valutazioni.  Posso anche dire che un qualche filone autobiografico sia presente nella sua opera, almeno a partire della conferenza-performance La Confessione, presentata nella sezione Attualità internazionali 1972-76, della Biennale di Venezia del 1976. In quell'intervento - di cui purtroppo non sembra si sia conservato il testo e che io conosco solo per alcuni spezzoni compresi nel documentario Biennale Rosa, regia di Alfredo di Laura, allora prodotto dalla RAI - raccontava il suo diventare artista, in modo molto prosaico. E il suo ultimo testo, preparato per la raccolta di alcuni suoi scritti per l'editore Nardini, uscita poi postuma, è appunto intitolato Autoritratto, un assai sintetico ma molto puntuale excursus sul suo percorso.

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    FILIPPO DE PISIS


    Autoritratto, anni 30
    Matita su carta, cm 31 × 21
    Collezione privata
    (n. 03890)

    Filippo de Pisis amava ritrarre tutto ciò che parlava alla sua raffinata e delicata sensibilità e che era in affinità con il suo “sentire”. Gli oggetti, i fiori e i paesaggi sono frammenti pittorici del suo essere, sono interpreti delle sue emozioni ed è attraverso questi che ci permetter di entrare nel suo mondo. La pittura di de Pisis è infatti intima e personale, è un autoritratto dello spirito del pittore ed è per questo che ha raramente sentito il bisogno di ritrarsi, di rappresentare la parte esterna di sé: non trovava così interessante il suo aspetto esteriore.
    I rari autoritratti sono solo del volto, caricaturali o estetici (per una mise particolarmente ben riuscita) e giovanili, come questo presentato in mostra. Lo sguardo allo spettatore per cercare uno scambio diretto, quasi interlocutorio, che i veloci tratti di matita non premettono di eludere.

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    PERICLE FAZZINI

    Autoritratto, 1931
    Legno, cm h56 x 38 x 35
    Collezione Eredi Fazzini, Roma
    Copyright Massimo Napoli, Fondazione Pericle Fazzini.

    Questo toccante Autoritratto giovanile viene realizzato dallo scultore appena diciottenne poco dopo il suo trasferimento a Roma. L’opera incarna le ragioni più intime che muoveranno la poetica fazziniana negli anni a venire, dimostrando l’assimilazione precoce dell’esempio di grandi maestri della scultura moderna, nonché le tendenze arcaicizzanti che si svilupperanno in forme capaci di rappresentare l’essenza dell’“idolo mediterraneo”. I tratti del volto emergono dal blocco di materia appena sbozzata, delineando il profilo dell’artista raccolto in una posa meditativa. L’opera prelude all’intensa stagione ritrattistica che Fazzini porta avanti negli anni Trenta, culminando nel magistrale busto del poeta e amico Ungaretti. L’Autoritratto, disperso negli anni ‘70, è rinvenuto e riacquisito dalla famiglia Fazzini nel 1992.

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    FRANCO GARELLI

    Autoritratto, (1949)
    Olio su tela, cm 48 x 38
    VAF Stiftung

    Dipinto tra il 1948 e il 1950, questo Autoritratto in veste di medico ottorino, sotto la luce fredda grigio verde di un ambiente operatorio, ci pone un enigmatico e cruciale (per l’autore) interrogativo: “Sono dottore o pittore?”. Dal 1948 egli va maturando la convinzione di volersi dedicare sempre più ed esclusivamente all’arte, stimolato specialmente dall’incontro con Carlo Cardazzo, gallerista del Cavallino di Venezia e del Naviglio di Milano, che ne promuove la carriera artistica e la creatività con diversi eventi espositivi e iniziative editoriali. Sul piano linguistico l’opera si propone come esempio di quel tenore neo picassiano che molta parte della cultura figurativa aveva sposato immediatamente dopo il secondo conflitto, come comune denominatore espressivo per la ricostruzione di un nuovo vocabolario pittorico. Il volto è scomposto secondo i canoni della visione cubista che si rimodula tuttavia su una più spiccata e nostrana cura del vero ritratto e interesse per la resa dello sguardo, elementi di matrice espressionista. Con gli anni '50 la pittura di Garelli si farà poi concretamente informale, sintetica, propedeutica alle grandi composizioni delle sculture in ferro e bronzo.

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    PIERO LEDDI

    Autoritratto, 1959
    Olio su cartone, cm 46 x 36
    Collezione privata
    foto Riccardo Molino

    L’Autoritratto appartiene a una fase decisiva nel percorso artistico di Leddi, che all’inizio degli anni '50 si trasferisce a Milano dalle terre d’origine dell’Alessandrino. Il contatto con la dimensione urbana, l’esigenza di interpretare i cambiamenti sociali e culturali in atto caratterizzano i lavori del periodo. In dialogo con i coetanei degli ambienti di Brera, Leddi sperimenta le vie della figurazione per rappresentare le tensioni e le inquietudini della vita moderna,. In questo raro esempio di autoritratto è evidente lo sforzo di misurarsi con le possibilità della pittura. Nei decenni successivi Leddi manterrà un atteggiamento aperto e sperimentale, sviluppando un confronto con le esperienze recenti e con quelle dei maestri del passato.

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    CARLO LEVI

    Autoritratto con tavolozza, 1935
    Olio su tela, cm 66 x 50
    n. di inv. IF 9

    Gli autoritratti scandiscono l’intera carriera pittorica di Carlo Levi e sono la rappresentazione di momenti fondamentali della sua esistenza. Questi autoritratti a volte registrano l’incertezza di una decisione o uno stato di malessere, altre riflettono un pericolo, altre ancora una svolta nella sua vita e nella sua pittura. Ne è testimonianza questo Autoritratto con tavolozza, dipinto il 27 ottobre 1935 mentre sta scontando la condanna al confino di polizia per tre anni in Lucania. È un momento centrale nella sua vita e il dipinto restituisce pienamente questa nuova condizione di confinato in cui è costretto a doversi guardare dentro e a riconsiderare la sua vita. Il volto riflette la sofferenza e l’instabilità del momento, eppure la presenza degli strumenti di lavoro, pennello e tavolozza, rafforzano la sua identità di pittore.

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    LEONE LODI

    Autoritratto, 1928
    Gesso, cm h 80 x 38 x 35
    Collezione privata

    Esposto alla I Mostra Regionale di arte lombarda alla Permanente, 1928. Nel catalogo della mostra del 2006, Leone Lodi Scultore (1900-1974) Dal Novecento all’arte monumentale, Nicoletta Colombo descrive così l’opera “esponeva un gesso di impronta massiccia, Autoritratto, compatto, sodo nella sintesi della forma, sorta di rivisitazione in chiave moderna del ritratto romano, austero al pari di quello, ma privo dei dettagli che ne siglano una precisa connotazione.”

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    CAROLA MAZOT

    Autoritratto, anno ‘70
    Olio su tela, cm 30 X 35
    Collezione privata

    Questo Autoritratto è stato ritrovato recentemente nella casa di montagna, fra i boschi alpini, dove Carola si ritirava per tre o quattro mesi l’anno sempre accompagnata da tele e pennelli. Pur avendo ritratto moltissime persone e avendo dedicato molto della sua ricerca espressiva proprio ai volti, Carola diceva spesso che il suo, di volto, non era un soggetto di suo interesse pittorico. Nel dipinto, che probabilmente è uno studio, si ritrae con gli occhi socchiusi, come usava fare quando osservava attentamente. La fotografia che accompagna il dipinto è uno scatto dello stesso periodo, metà anni '70 e nel medesimo luogo.

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    GIORGIO MORANDI

    Autoritratto, 1924
    (Catalogo Vitali, n. 96)
    Olio su tela, cm 47 x 41
    MART, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto / Collezione L.F.

    È uno dei pochissimi autoritratti (soltanto cinque, e tutti realizzati in giovane età, prima del 1930) e tra questi rappresenta un unicum. A differenza degli altri – in cui riprende se stesso in posizione frontale, quasi a fissare un obiettivo fotografico – qui l’artista si ritrae mentre dipinge, seduto davanti al cavalletto e con la tavolozza in mano (si noti che sulla tela sembra che l’artista sia mancino in quanto pare impugnare il pennello con la sinistra. In realtà Morandi è destrorso, ma, nel guardarsi allo specchio, egli “riproduce” fedelmente ciò che vede).
    Particolare è anche l’insistere sull’ombra che vela il volto e di fatto lo nasconde, facendo piuttosto risaltare l’intera figura, come “ritagliata” sul tono chiaro del fondo, con pennellate di luce bianca sulle maniche e sul colletto della camicia alla coreana. Quello che qui si incontra è un giovane pittore di trentaquattro anni, ma il suo abbigliamento da lavoro, che in realtà è quello per lui abituale in ogni occasione, non cambierà negli anni, anche se a volte Morandi non terrà il cappello mentre dipinge o sostituirà il gilet con una giacca più pesante, sempre la stessa, piena di schizzi di colore e profumata di olio e di trementina.
    Forse questa è l’unica immagine dell’artista al lavoro, anche perché egli non ama certo farsi vedere mentre dipinge ed è molto geloso della sua privacy.

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    EDOARDO (DADY) ORSI

    Autoritratto, 1938
    Olio su tela, cm 54,5 x 44,5

    Segni forti come il suo naso ci fanno presagire, in questo autoritratto giovanile, il suo vigore di disegnatore e la sua nettezza di colorista. Il dipinto appartiene a un momento complesso della sua vita: costretto ad abbandonare gli studi presso l’Accademia di Brera, dove l’artista esprimeva la sua vocazione, sta per trasferirsi a Salerno, presso la Scuola Allievi Ufficiali. Un percorso questo, che non gli si confaceva, come sappiamo dai suoi disegni di quel periodo. Fu allontanato da Brera dalle autorità fasciste per la sua prossimità politica con gli artisti di Corrente, che proprio allora iniziavano a pubblicare la loro rivista critica verso il regime. Dady Orsi condivideva il loro stile e la loro apertura verso l’arte Europea e il post-impressionismo: ritroviamo infatti in questo autoritratto echi del disegno austero di Modigliani e della tavolozza aspra di Bonnard. Si respira una voglia di Parigi, di un’altra aria rispetto a quella asfittica del fascismo alla fine degli anni '30.

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    FAUSTO PIRANDELLO

    Autoritratto assorto, 1948
    Olio su cartone, cm 58 x 38
    Collezione privata

    Nel corso della sua carriera artistica, durata oltre cinquant’anni, Pirandello si è costantemente ritratto, con sguardo spesso impietoso. Alcuni intensi autoritratti giovanili, realizzati intorno ai vent’anni, sono tra le prime opere note dell’artista, mentre tra le ultime figura un silenzioso e spettrale Autoritratto in bianco (1972 circa).
    Nell’Autoritratto assorto (1948) il pittore si ritrae dietro alla tela concentrato sul proprio lavoro o forse intento a riflettere. Come ha scritto una volta, infatti, "Seguito a cercar di capire che cosa sia la pittura e perché bisogna farne" (G. Giuffrè, Fausto Pirandello, Roma 1984, p. 274). Ma lo spazio sembra quasi non riuscire a contenerlo e la testa tocca il margine superiore del quadro. L’artista ha dipinto su un cartone di risulta cui ha aggiunto una fascia orizzontale nella parte inferiore, per allungare la figura, dando così alla composizione un maggiore slancio verticale (un pastello molto simile, in collezione privata, mostra invece un formato meno allungato). L’Autoritratto assorto (1948) è particolarmente rappresentativo di una fase di profondo rinnovamento linguistico che porta l’artista anche a sperimentare nuovi accordi cromatici in rapporto alla forma. In questo caso accostando i colori complementari blu e arancione Pirandello ottiene la massima intensità luminosa.

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    MICHELANGELO PISTOLETTO

    Autoritratto, 1962-1965
    Velina dipinta su acciaio inox lucidato a specchio, cm 120 x 100
    Collezione privata
    Foto Paul Bijtebier

    L’Autoritratto esposto è uno dei primi Quadri specchianti, opere alla cui creazione Pistoletto giunge come risultato di un’intensa ricerca condotta nella seconda metà degli anni '50 e incentrata proprio sull’autoritratto. Il punto di svolta avviene nel 1961 con la serie di opere intitolate Il presente in cui l’artista dipinge la propria figura su un fondo nero reso riflettente. Nel 1962 mette infine a punto la tecnica - riporto fotografico su lastra di acciaio inox lucidata a specchio – con cui realizza i suoi Quadri specchianti. La dinamica attivata dall’interazione tra immagine di natura fotografica riprodotta sulla superficie specchiante e le immagini generate sulla superficie riflettente include nell’opera la presenza dello spettatore e gli offre l’esperienza della dimensione del tempo. I Quadri specchianti superano inoltre la concezione rinascimentale del quadro come finestra sul mondo per diventare una porta che mette in comunicazione spazio virtuale dell’opera e ambiente reale in cui sono esposti.

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    CAROL RAMA

    Autoritratto, 1949
    Olio su cartone intelato, cm 43 x 34
    Le gallerie degli Uffizi (inv. 1890 n. 10205); provenienza Locarno, collezione Raimondo Rezzonico.
    Dipartimento fotografico delle Gallerie degli Uffizi ã Archivio Carol Rama, Torino

    La storia espositiva di questo quadro si apre e si chiude con due importanti occasioni: nel 1949, l’anno stesso della sua esecuzione, è esposto al Casinò di Saint Vincent, in occasione del 2° Premio Saint Vincent per la pittura e la scultura, col titolo appunto di Autoritratto (da qui la certezza che di autoritratto si tratti), e lo si ritrova ora nelle collezioni degli Uffizi, successivamente all’acquisizione della collezione di autoritratti di Raimondo Rezzonico avvenuta all’inizio del ventunesimo secolo.
    L’opera, nella frammentazione dei volumi e nella scomposizione asimmetrica del volto, risente delle passioni picassiane della pittrice, testimoniate dalla gran quantità di pubblicazioni su Picasso presenti nella sua biblioteca, molte delle quali risalenti agli anni '40. Il raffinato gioco cromatico, più acceso nello sfondo e di sfumature più pacate nella figura, contribuisce al fascino enigmatico dell’opera. 

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    MAURO REGGIANI

    Autoritratto, probabilmente 1943
    Olio su tela, cm 33 x 45
    Donato dalla figlia Virgilia Reggiani al Museo degli Uffizi di Firenze nel settembre 1982.
    Gabinetto fotografico Soprintendenza Beni Artistici e Storici di Firenze. Foto N. 356519.

    Dagli anni '30, Reggiani espone sia opere astratte che, in minor numero, figurative.
    Ritornato dal fronte russo nel 1943, si trasferisce con la famiglia a Pavullo (MO) fino al '45. È durante il periodo bellico che dipinge molte opere figurative: paesaggi del modenese e ritratti di famigliari tra cui il suo. Abbandonerà completamente il figurativo intorno al 1947.

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    PIPPO RIZZO

    Il Nomade, 1929
    Olio su tela, cm 183 x 121
    Galleria d’Arte Moderna “Empedocle Restivo”, Palermo. Courtesy Archivio Pippo Rizzo

    Il Nomade, sebbene raffiguri Guido Cesareo, amico del pittore, è da sempre interpretato come alter ego metaforico di Pippo Rizzo: “artista irrequieto e pittore viaggiante” come lui stesso si definì nel ’59, ovvero come ritratto simbolico del suo spirito dinamico e al passo coi tempi.
    L’opera, oggi conservata alla GAM – Galleria d’Arte Moderna di Palermo, è stata dipinta da Rizzo nel ’29, in un momento cruciale della sua carriera, fra il finire dell’entusiasmante esperienza futurista e l’approdo alla corrente del Novecento italiano. Il dipinto, pur restando ancorato, per tematica e stile, al Futurismo presenta all’interno di un’ambientazione densa di modernità una solida stabilità. La figura protagonista, imponente e monumentale, fa da contraltare allo scintillio del treno in corsa, e in essa tutta la scomposizione geometrica dei fasci cromo-luminosi si rinsalda compatta in un equilibrio certo e inedito.

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    ALBERTO SUGHI

    Autoritratto, 1974
    Olio su tela, cm 50 x 70
    Collezione privata, Cesena

    All’interno dell’opera di Alberto Sughi i ritratti e gli autoritratti potrebbero sulle prime apparire i meno ‘Sughi’ di tutti.
    L’artista, infatti, soleva dipingere a memoria e i personaggi che contraddistinguono la sua pittura rivelano sempre i tratti più distintivi della sua immaginazione artistica.
    I ritratti invece venivano eseguiti attraverso lo studio attento del soggetto e Sughi, pur seguendo la forte impronta prodottagli da un volto,  cercava di non allontanarsi mai troppo dalla struttura anatomica.
    Detto questo rimane che tanto i ritratti e gli autoritratti mantengono la stessa forza espressiva di tutti i dipinti dell’artista e, al di là del forte elemento di rassomiglianza col suo autore, anche il presente Autoritratto riprende i temi della pittura di Sughi, come ebbero modo di evidenziare Alberto Sughi stesso e Arturo Carlo Quintavalle: “Cominciamo dal mio autoritratto che è del 1974. Io non so se allora lo ho intitolato Autoritratto, lo intitolerei piuttosto Colui che guarda, Colui che osserva, Il testimone, quindi più che un autoritratto è proprio lo sguardo, il gettare uno sguardo su quello che abbiamo davanti, uno sguardo severo che cerca di scoprire ciò che rimarrà sempre nascosto dietro l’apparenza.” Alberto Sughi
    “Quanto all’Autoritratto questo appare una specie di denunzia di tensione esistenziale; è come se muovesse dalla memoria degli autoritratti di Van Gogh ma nello stile dell’ultimo Goya oppure di Daumier pittore, un artista che deve avere sempre impressionato a fondo Alberto Sughi.” Arturo Carlo Quintavalle

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    ERNESTO TRECCANI

    Autoritratto, 1978
    Acrilici su tela, cm 35 x 50
    Fondazione Corrente, Milano

    La tela del 1978 riprende il formato di uno dei primi dipinti dell’artista, l’Autoritratto a olio del 1940, dove il colore giallo steso a dense pennellate condensa il ricordo della “luce dorata” filtrata dalla finestra che dava sul giardino della villa paterna di Vanzaghello, da cui Treccani scorgeva il limite del “muro” che lo “separava dalla vita”, e il dichiarato omaggio a Van Gogh (si firma “Ernesto” come “Vincent”). Negli anni della formazione emerge già l’interesse di Treccani per il tema dell’autoritratto come indagine sul linguaggio dell’arte e sul sé da una prospettiva etica che si interroga sul proprio prender parte ai fatti della vita e della società. Nell’opera del 1978 i lineamenti del volto ritratto si sviluppano da un segno all’altro attraverso l’accostamento, la sovrapposizione e lo spostamento nel fondale di pennellate blu, verdi, gialle, accensioni di rosso, attenuazioni di ocra, colori presenti nelle tele dei cieli, dei fiori e delle siepi dipinte dall’artista nello stesso periodo. Il materiale utilizzato, asciugando in poco tempo, permette la sovrapposizione degli interventi senza alterazione dei valori cromatici ed è attraverso tale tecnica che l’artista può lavorare, a più riprese, al processo di costruzione dell’immagine nei suoi elementi - linea, composizione, colore - e sul soggetto dell’autoritratto come tema di partecipazione dell’artista alla realtà nel suo mutare.

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    PHARAILDIS VAN DEN BROECK

    China series,  (1996)
    Gouache su carta di riso, cm 142 x 68 ciascuno
    inv. PH441CDEF
    foto Jacopo Menzani, courtesy Archivio Atelier Pharaildis Van den Broeck

    Nel 1996 Pharaildis Van den Broeck visita Suzhou e si fa fotografare vestita da imperatore cinese in un giardino acquatico. Da questo viaggio nasce un ciclo pittorico di quattro dipinti, in cui il soggetto da autoritratto si trasfigura in cipolla.
    Il primo è un vero e proprio autoritratto derivato dalla fotografia. Nelle opere seguenti la figura umana lascia spazio alla cipolla, è possibile rintracciarne i passaggi attraverso delle analogie formali. Nel secondo la cipolla campeggia al centro del dipinto come l’artista assisa sul trono, le lunghe barbe rimandano al copricapo e si conservano tracce cromatiche degli abiti. Nel terzo dipinto i segni pittorici risultano scomposti e gli elementi figurativi non più riconoscibili, prevale il gesto pittorico.
    Completato il processo di trasformazione, i soggetti – circondati da scritte – diventano una cipolla e un ritratto di Mao strappato dal Libretto rosso e applicato a collage.

    AitArt

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    ​+39 320 4574952
    info@aitart.it

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